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ARTI E MESTIERI

Per introdurre la tematica delle Arti, in particolare quello della lana, risulta utile una premessa sulle peculiarità del territorio pratese e sul sistema di gore che lo ha, da sempre, caratterizzato.

Durante il periodo comunale, per drenare il terreno e indirizzare l’acqua per l’irrigazione, viene costruita una vasta rete di canali chiamati gore. Così, fin dal Medioevo, la creazione di questi corsi d'acqua ha permesso l’installazione di una serie innumerevoli di mulini e di altrettanti opifici, che videro la loro fortuna nello sfruttamento dell’energia idroelettrica.

 

L’arte della lana a Prato sembra avere principio all’epoca del doppio abitato da cui ebbe origine l’insediamento. Al tempo vi era, infatti, una grande differenziazione economica e, dallo studio dei toponimi, si ha testimonianza delle prime gualchiere e, quindi, della produzione di stoffe, sin dal 1107.  

Tra il terzo e il quarto decennio del secolo il borgo era pieno di lanaioli e cambiatori e più di una strada urbana venne designata dalle attività industriali - via dei Tiratoi, strada della Gualchiera, alle Fornaci -, dai mestieri che vi si praticavano - via dei Lanaioli e dei Cimatori - e dei servizi che vi si offrivano - via della Stufa -.

Una crescita economica e demografica elevata che si avrà, dall’inizio del Duecento fino alla prima metà del secolo successivo, furono bruscamente interrotte dalle carestie e le epidemie di peste. Queste, che si verificarono verso la fine della seconda metà del Trecento, portarono ad una crisi generale e le attività manifatturiere e mercantili diminuirono di intensità, concentrandosi in un numero limitato di compagnie; le operazioni di credito cessarono quasi del tutto.

Il declino quattrocentesco del settore laniero risultò essere, inoltre, l’esito del primato economico imposto dal predominio fiorentino -dal 1351 -. La funzione di Prato si ridurrà, così, da collaboratore a secondario centro manifatturiero dello Stato.

 

L’arte della lana continuò ad essere praticata, in misura più ridotta, tra Cinquecento e Seicento.

La ripresa che si avvia a metà del XVII secolo è spiegata grazie al declino dell’industria tessile fiorentina: questo, avviato alla fine del Cinquecento ed accentuato nel secolo successivo, esaurisce la forza accentratrice di Firenze sul piano economico, aprendo nuove impossibilità per Prato.

L’economia locale riprese vivacità la città recuperò il primato dell’Arte laniera della regione.

 

Nel corso del Settecento e per buona parte del secolo successivo la città visse una stagione legata alla produzione di cappelli che iniziò a fare concorrenza alla lavorazione degli stracci e, dalla seconda metà del XIX secolo inizia per Prato la prima vera industrializzazione. Nel 1820, infatti, Mazzoni inaugurò la prima officina per la costruzione di macchine per l’industria tessile: dall’artigianato tradizionale si passava, così, all’industria.

Anche le arti si affinarono su diversi punti di vista: nascevano tante tipografie che si occuperanno della duplicazione di testi molto importanti. In riferimento è utile segnalare palazzo degli Alberti che, appartenuto alla famiglia Zannoni all’inizio del XIX secolo, ospitò al piano terra del palazzo la sede della tipografia Aldina, proprio durante il florido periodo di “Prato città delle stamperie”.

Verso la metà dell’Ottocento la vera industrializzazione iniziò a decollare e il sistema infrastrutturale acquisì un ruolo estremamente importante: l’apertura della strada ferroviaria Maria Antonia e l’apertura di un accesso alla stazione per il transito merci - 1883 - costituì un grande motore di sviluppo delle attività industriali.

Per la prima volta Prato si confrontava con lo sviluppo urbano al di fuori della cerchia muraria e, con l’apertura dei mercati e la scalata verso la tecnologia induce una ricca società tedesca all’installazione di una grandissima fabbrica, che sarà conosciuta dai pratesi come “il Fabbricone”.

 

Il centro storico non venne, tuttavia, escluso dall’esercizio industriale che torna ad occupare spazio all’interno dei piani terra degli edifici, anche in quelli di palazzi nobiliari precedentemente abitati. Palazzo Inghirami - quello voluto da Gimignano - e palazzo Novellucci ospitavano, alla fine del XIX secolo, fabbriche di stracci e alcune fonti attestano che anche Palazzo Franceschini, con un’inaugurazione avvenuta il 1 aprile 1883, ospitava una una fabbrica di lavorazione delle trecce e dei cappelli di paglia e, dal 1792 il palazzo Cai Lombardi – Pacchiani subisce una ristrutturazione per ospitare uno stabilimento laniero – voluto anche da Mazzoni -, specializzato poi successivamente nella produzione di berretti alla “levantina”.

 

A cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando ormai la zona nord della città iniziava ad essere satura, l’espansione industriale continuò in tutte le direzione lungo le infrastrutture di lungo raggio, in continuità con le gore. La quasi completa saturazione dello spazio disponibile intorno la città portò, poi, a quella fisionomia di città fabbrica che raggiungerà l’apice negli anni Ottanta del Novecento.

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