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PALAZZO GINI

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Palazzo Gini, in Piazza Mercatale, similarmente al Palazzo Vai, fu edificato dalla famiglia omonima per manifestare la loro crescita economica ed il loro prestigio sociale. Occupò degli edifici di varia natura di proprietà della famiglia, originariamente abitante dei aspri monti della Calvana, in località Cavagliano, la quale discese in pianura nel XV secolo, attirata dalle crescenti attività cittadine e per avere un maggior controllo di un loro molino posseduto in Via delle Tinte nei pressi di porta Tiezi, situata nell’attuale Via Garibaldi.

 

Nonostante la consorteria numerosissima, questo ramo dei Gini cui   si dirà che negli anni ’30 del XVII “’crepano di denari contanti’ scriverà di loro il cav. Giovan Francesco Buonamici, per via dell'attività manufatturiera”[1], appartiene allo stesso ceppo dei Rinforzati e dei Bartolozzi e venne ammesso a patriziato nella prima tornata di registrazioni intorno al 1764. La conquista del nuovo status

Centauro, 2007

sociale costò loro la fama di famiglia molto avida in quanto molto accorta e premurosa per le sorti della famiglia, anche per quanto riguarda la gestione della consorteria. Concluso nel 1718, per il progetto della costruzione del palazzo venne ipoteticamente formulato il nome di Giovan Battista Bettini. Nel 1714 venne chiesta licenza per la costruzione del ponte di congiunzione tra il palazzo e il vicino Oratorio trecentesco di Sant’Ambrogio, in modo da poter realizzare un chiasso chiamato Vicolo dei Gini, esistente tutt’oggi.


Il palazzo era adorno di un bel giardino con un ricco ninfeo e di un'ampia facciata sulla piazza dotata di un altana al centro. L'ampia facciata sulla piazza, movimentata dall'altana centrale[2] presenta “spigoli segnati da

bugnato liscio con profilo dentato ed è scandito da undici assi di aperture su tre alti piani, poggianti su marcadavanzali.

L'altana ha al centro tre aperture centinate con parapetto a balaustri, ed è fiancheggiata da due volute di raccordo con le coperture. Al piano terreno vari ambienti conservano volte a crociera settecentesche”[3]

Oltre al palazzo, i lavori interessarono anche il locale dell’oratorio, ormai acquisito dalla famiglia, trasformato in chiave tardo-barocca e dotato di un lussuoso altare in stucco con dipinti dell’epoca[5].

 

Nei secoli successivi, il palazzo fu ceduto ed abitato da altre famiglie: Mazzoni, Forti[6] e Benassai fino al XX secolo in cui venne interamente adibito per gli uffici tecnici del Comune.

Per quanto riguarda gli interni, oggetto di un recente intervento di ristrutturazione voluto dall’amministrazione comunale, “l'occultamento delle volte dipinte delle sale d'Apollo e delle Fortuna, celebrative della famiglia, tramite la messa in opera di controsoffitti, dovette avvenire presumibilmente alla fine del secolo XVIII, in coincidenza con la caduta in disgrazia della famiglia stessa”[4].

 

La famiglia, infatti si estinse nel 1894 con la morte del dott. Gino di Giuseppe.

Centauro, 2007

Centauro, 2007

BIBLIOGRAFIA:

1. M. Bellucci, I dipinti murali di Palazzo Gini: una vicenda pratese riscoperta, in Prato Storia e Arte n'102, Fondazione CR Prato, 2007

2. M. Bellucci, Le decorazioni di Palazzo Gini a Prato, tesi laurea, UNIFI, 2008

3. G. A. Centauro, Il restauro di inediti affreschi settecenteschi in Palazzo Gini a Prato, in Prato Storia e Arte n'102, Fondazione CR Prato, 2007

4. G. A. Centauro, Piazza Mercatale: immagini e vissuto della città, in Comune di Prato, Idee per Piazza Mercatale, Prato, 2002

5. R. Fantappiè, Il Settecento a Prato, Skira, Milano, 1999

6. E.Fiumi, Demografia movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall'età comunale ai tempi moderni, Leo S. Olschki editore, 1968

7. E. Fasano Guarini, F. Braudel (a cura di), Prato storia di una città 2, un microcosmo in movimento (1494-1815), Le Monnier, Firenze,1986

8. P. F. Listri, Il dizionario di Prato: tutta Prato dalla A alla Z, dalle origini al Duemila, Le Lettere, Firenze, 2000

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